“SindarÀnya
(indicando un altro punto in lontananza, in direzione delle Danzatrici; mettendosi quasi di spalle rispetto a Jean-Marc)
Il mio tempio è laggiù,
ai confini dell’universo di sabbia e di vento.
Ai confini d’un amore perduto per sempre
e di una danza
che il coro di mattutino non capisce più.
Il mio tempio, Jean-Marc,
è nel ricordo di me stesso morente,
mentre la bara,
già vuota per sempre,
(marca le parole, figurando il ribaltamento)
si ribalta
(prosegue più compassato)
e allontana la memoria delle cose,
i volti dei frati sgomenti,
la solitudine delle celle
dove i dèmoni dell’incenso e della lussuria
scalpitano fra un paradosso e l’altro.
Il mio tempio
non è più nella voce d’un altro
che recita un salmo a rovescio.”