Rocco Futia e il teatro: due pièces innovative a sfondo filosofico.
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(dal 12.4.2005)
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copertina lasciare babele

Editore: ARTI GRAFICHE EDIZIONI
Collana: Teatro
Pagine: 111
Prezzo: 8,00 euro
Anno di prima edizione: 1996

Tipologia: Pièces teatrali (2 atti unici)


Critica


Bramanunte e Babele: simboli e idola di mondi arcani
(di Domenico A. CUSATO)

Lasciare Babele? di Rocco Futia
(di Michel GILLES)

Uno zolfanello per tornare a Babele...
(di Domenica IARIA)



Maschera

(rimanendo nella penombra)

     Ebbene, sono una maschera. Discendente, come è ampiamente risaputo, dal dèmone più bizzarro della terra: il Dèmone dell’Artificio e della Meraviglia. Saprai di certo come sono i dèmoni: giullari e bighelloni, un po’ acqua, un po’ vento; un po’ sabbia, un po’ cera. Irascibili, nemici della contraddizione e dell’intrigo. A volte, sono più volubili d’una meretrice. A volte, sai, si comportano peggio dei mendicanti. Tranne alcuni che tengono alto il nome.
(«Imènija e la Maschera», p. 24)
 

Maschera

Un palcoscenico colossale, anche per le più modeste aspirazioni. A Bramanunte, prima o poi, tutto diventa sogno, tranne la scena. La scena è l’unica cosa reale.

(«Imènija e la Maschera», p. 30)

 

Maschera

(quasi confidenzialmente)

Una maschera non vede se stessa, ma vede tutto il resto. Anche nella più fitta oscurità scorge i tratti e le crepe d’un viso, le smorfie involontarie, la superficialità d’un gesto; così come indovina i giochi passionali, le invettive, le macchinazioni, i tradimenti e i voltafaccia, mia cara.

(«Imènija e la Maschera», p. 43)
 

SindarÀnya

(indicando un altro punto in lontananza, in direzione delle Danzatrici; mettendosi quasi di spalle rispetto a Jean-Marc)

Il mio tempio è laggiù,

ai confini dell’universo di sabbia e di vento.

Ai confini d’un amore perduto per sempre

e di una danza

che il coro di mattutino non capisce più.

Il mio tempio, Jean-Marc,

è nel ricordo di me stesso morente,

mentre la bara,

già vuota per sempre,

 

(marca le parole, figurando il ribaltamento)

 

si ribalta

 

(prosegue più compassato)

 

e allontana la memoria delle cose,

i volti dei frati sgomenti,

la solitudine delle celle

dove i dèmoni dell’incenso e della lussuria

scalpitano fra un paradosso e l’altro.

Il mio tempio

non è più nella voce d’un altro

che recita un salmo a rovescio.

(«Lasciare Babele?», pp. 95-6)
 

SindarÀnya

Jean-Marc, (...) Nessuno assomiglia a quel tale se stesso che vede nel sogno.

(«Lasciare Babele?», p. 103)
 

Sindarànya

(laconico e anche un po’ stizzito)

Puoi uscire quando vuoi!?… Ah! E quando esci da Babele, dove vai?

 

Jean-Marc

(in tono convinto, come se avesse risolto l’enigma; si abbandona alla gioia)

Ma… è semplice: da nessuna parte!… Non c’è alcun bisogno di prendere una via, perché fuori di Babele… non c’è assolutamente niente!… Niente, capisci?! Niente di niente, Sindarànya!

(«Lasciare Babele?», p. 105)


Nota critica - 1

“[…] Rocco Futia si ripropone al pubblico dei lettori, sorprendendoli ancora una volta per la sua versatilità letteraria.

Di lui avevamo già conosciuto la levità delle immagini verbali e la ricercatezza prosodica nelle opere poetiche, l’emblematicità della metafora e dell’allegoria negli scritti narrativi, il graffiante sarcasmo negli aforismi; ma la nuova forma artistica ora scelta per esplicitare l’originale poetica si allontana dai canoni abituali dello scrittore che, nell’attuare il cambio letterario, sembra quasi lanciare una sfida a se stesso. Egli infatti, già smaliziato nell’uso della tecnica della narrazione e della sintesi poetica, si vuole adesso misurare con i distinti codici che il genere teatrale sottende: quello gestuale, vestimentario, spaziale, fonico e via dicendo.

[…]

Ci sarebbe da chiedersi per quale motivo l’autore non ambienti le opere in uno spazio scenico più connaturato alla cultura occidentale, ma scelga sempre, per i suoi personaggi, lo sfondo di arcane e indefinite terre lontane (attingendo spesso dal mito, anche se esso viene poi alterato e depurato dalla fantasia). Probabilmente il particolare gusto estetico che ha guidato Futia in questa scelta si è andato consolidando, più o meno inconsciamente, a mano a mano che la sua indagine filosofica lo ha portato ad apprezzare modelli di vita diversi, in cui non esiste (o, quantomeno, è abbastanza sfumata) l’influenza dei mass-media, che nella nostra cultura sembrano invece avere il predominante e folle ruolo di determinare i comportamenti umani, imponendo la vanità dell’apparire.”



Nota critica - 2

Imènija e la Maschera e Lasciare Babele? traducono l’esperienza letteraria di Rocco Futia nei suoi  recenti sviluppi : la prosa con cui si descrive la scena e il dramma.

Con i due atti unici, l’autore propone ancora una volta i suoi temi privilegiati. Ne sono esempio calzante la Maschera, la Città della Bramosia, il Tempio, Babele: mondi in cui si gioca la finzione e si percorrono differenti labirinti, primi fra tutti il labirinto che simboleggia l’accadere dell’essere e quello della parola giunta alla sua estrema e forse ambigua referenzialità.

Nel primo dei due drammi si compie un destino mille volte bramato e forse mai raggiunto: la fusione tra Maschera e Fantasma (o Idolum), proprio al centro della scena, dove fanno da significativa cornice altre maschere e altri fantasmi.

Nel secondo, più speculativo, Futia segue una sua personale ricerca di senso e addita Babele come il centro del mondo (ovvero il centro dei labirinti del mondo) e di se stessa, tanto da alludere al fatto che fuori di essa non ci sia davvero niente.

Alla fine, nel primo atto unico si consacra la metamorfosi/morte della Maschera (che raggiunge un livello più alto di identità); nel secondo atto unico, invece, si chiude il tempo in cui una mappa o una moneta potrebbe salvare dallo smarrimento e dalla morte, e si apre la più grande voragine che sia mai stata immaginata: la voragine rappresentata dalla parola «Fine» posta a spiegazione (del dramma stesso) nell’ultima pagina del Libro che l’Abate termina di leggere. Senza che rimanga in piedi un solo tempio nel quale si possa trovare interamente se stessi, come sembrano testimoniare sia la Maschera che Imènija nel primo atto unico, sia Jean-Marc che Sindarànya nel secondo.
È da aggiungere, infine, che Rocco Futia non si rifà ad alcun modello canonico, bensì intenda la scena e i personaggi innanzitutto nel loro sviluppo “simbolico”, a cui il tempo della rappresentazione e il tempo “umano” conseguentemente sono adeguati.

   
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