“DEVOZIONI, LAUDI ET PRECI”
(Firmina combatte il malocchio)
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Era una vera sfortuna, una iella inaudita, proprio quando tutto sembrava possibile e pronto su un piatto d’argento. Di sicuro qualcuno le aveva fatto la ‘smossa’, ossia il malocchio più insidioso: uno iettatore di professione o una di quelle donne che, per commissione ricevuta, sono sollecite a cagionare la malasorte per invidia, per dispetto o per rancore. Oppure era stato un negromante, o una fattucchiera pagata per un sortilegio o una maledizione contro Leonardo e la sua famiglia. Di altro non poteva trattarsi.
Ci doveva pur essere un modo di sottrarsi a quel maleficio. Come fare? Il malocchio non è facile da combattere. Forse un contromalocchio… Ma contro la ‘smossa’ ci voleva un rimedio più sofisticato. Sì, certo! La biblioteca di Leonardo!…
Con animo insieme turbato e fiducioso, quasi con un po’ timore, entrò in quell’arca del sapere. Osservò i libri con occhio meticoloso, di una meticolosità pari solo alla sua frivolezza. Poi, in maniera spasmodica, cominciò a scovare libelli, registri, indici, elenchi. Li ammucchiò alla rinfusa sul pavimento e prese, ad uno ad uno, trattati sugli oracoli e sacrifici, sugli indovini e postulanti, sulle fattucchiere, sui vantatori e simulatori, passando a indici dei dadi, libri dei calunniatori & predicatori di Quaresima, libri “de’ leggitori di ventura e degli strologi” (rari, tra i più antichi esistenti in Europa, delizia per pochissimi dotti), libelli sulla fattura di amuleti contro il malocchio, contro l’invidia in amore e la riuscita del matrimonio, contro gli aborti e le nascite premature, contro l’infedeltà e l’adulterio, per scongiurare le gravidanze indesiderate, contro l’impotenza e la sterilità, per evitare il bacio dei morti nel sogno, contro l’apparizione di streghe, diavoli, spiriti del male, fantasmi e vampiri, contro il sorgere del desiderio carnale in chiesa e negli altri luoghi di devozione, contro le malattie veneree e la tubercolosi, contro le infezioni casuali, contro la rottura dei fidanzamenti, contro il gabbo.
Non tralasciò, certo, i cataloghi delle “devozioni, laudi et preci”, i cataloghi delle nicchie votive e dei crocicchi consacrati, né gli elenchi degli “Angioli & Dimòni”, e neppure l’elenco delle illusioni, degli incanti o incantamenti, delle stregonerie, delle veggenze e delle venture. E, per finire, gli elenchi dei somiglianti e degli idolatri.
Donna Firmina avrebbe fatto qualunque cosa pur di venire a capo di quella che ormai considerava una tragedia per la sua famiglia. Non bastava che Leonardo avesse perso la faccia di fronte alle migliaia di persone venute da tutte le parti a festeggiarlo come nuovo luminare della politica. Non bastava che fosse stata costretta a inghiottire le velenose occhiate di scherno e sfottimento delle amiche di liceo e della stessa Violetta (la saputella sempre di turno, che, all’occorrenza, le avrebbe suggerito di consultare anche qualcuno dei libelli su “lagrime, sospiri, brancolamenti, amaritudini, consolazioni spirituali et misericordie”). Non bastava la delusione per l’occasione (oramai perduta) di apparire come la First Lady, la Lady beautiful dell’anno. La malasorte aveva voluto che le sue tette fascinose non finissero sulla copertina dei più celebri tabloid anglosassoni, ma rimanessero nel chiuso della stanza da letto in cui lei e Leonardo, da troppo tempo in verità, si godevano le ore notturne in pressoché sterili toccamenti, senza raggiungere eccitazioni di rilievo. (Quando a lei sarebbe bastato che di tanto in tanto Leonardo le propiziasse… sant’Iddio!, anche un mezzo orgasmo, anche un orgasmo ridotto ai minimi termini.)
Comprensibilmente, la sua ansia era all’estremo: non trovava una risposta al maleficio. Perché di questo si trattava, ne era più che certa.
Nell’affare della ‘smossa’, ricordò l’esperienza di sua madre, donna Giannina Degli Agaponi, che aveva dovuto ricorrere più volte allo scacciatore di malocchio del paese. Ma erano altri tempi e, per giunta, lo scacciatore di malocchio, ‘smossa’ o sventura, era morto almeno dieci anni addietro. C’era, a dire il vero, il figlio, chiamato col soprannome di ‘mortaro’, in ragione del fatto che era quasi un esperto nel mescolare (come se la sua mente fosse un mortaio in cui si pressano aglio, prezzemolo e altre spezie) “vezzi, controvezzi et ire”, oppure questioni che avevano a che fare con ragni, aquile e granchi, ovvero con cicale, aspidi e rospi, o volpi, serpi e lupi (animali tutti dalle sembianze molto umane, come si può facilmente capire). In più, ‘il mortaro’, a quanto si diceva, possedeva introvabili e segreti indici sulle chiocciole e sui vermi, nonché oscuri elenchi su “draghi e basilischi” che gli donavano, seppure molto di rado, il potere di guarire le persone dai malanni spirituali o passionali e dalla sfortuna e persecuzione.
Mentre pensava al ‘mortaro’, Firmina scorse nel mucchio un registro delle elemosine e carità, e pensò che forse doveva fare ammenda della sua vanità e dei suoi peccati di presunzione. I suoi occhi si posarono poi su brevi elenchi dei tradimenti e delle vendette d’amore. Ma ritenne che non interessavano il suo caso.
Vagava con la mente da una possibilità all’altra, senza convincersi di una mossa da fare. Forse poteva esserle utile uno degli indici dei “conventi, monasteri, badessati et eremi di Calabria Ultra et Citeriore” che si trovò fra le mani: chissà che non fosse proprio una novizia, o una badessa, la persona giusta a sanarle quella piaga.
Infine, senza comunque abbandonarsi alla rassegnazione, decise che era cosa assai opportuna dedicarsi alla meditazione per qualche giorno. Scelse, pertanto, uno dei libri dei “santi et beati et cherubini”, assieme a un registro degli Offici et Sagramenti, dei Mattutini et Vespri, di quasi sicura provenienza dalla biblioteca di uno degli eccellentissimi patriorchi di Lemanopoli (per antonomasia la sede in cui si custodiva il sapere degli “Offizianti et Sagramentari” più autorevoli di tutto il mondo).
Lesse pagine sulla vita di alcuni santi, di umili che furono beatificati, di fanciulle assurte allo stato di santità per intercessione della Madonna dell’Innocenza, di contadini che avevano predicato meglio di indottrinati abati, prelati e quaresimali, di donne che avevano donato la speranza del paradiso a centinaia di moribondi, di bestemmiatori che avevano trovato il modo di redimersi e di avvicinarsi alle schiere degli angeli, di predicatori del Verbo, di lettori dei Salmi e della Parola divina.
Meditò sulla funzione dei Sagramenti e prese a frequentare gli Offizi anche nei giorni feriali, umiliandosi nella preghiera. In paese, in stretta segretezza, elargì elemosine ai bisognosi e agli accattoni. E le sembrò di meritarsi già qualche ricompensa dal cielo: d’altronde, pensava, quelli che hanno raggiunto la beatitudine non hanno fatto molto di più.
Frequentò persino gli Offizi speciali, cioè quelli riservati a una ristretta cerchia di anime; e si accostò ai Sagramenti più antichi e non più praticati, se non in caso di estrema, accertata e segreta bontà e umiliazione (tali erano i Sagramenti dell’ipodivinazione, dell’ipobeatificazione, della protosantificazione o santificazione in vita, della miracolanza – la più difficile da raggiungere, che permetteva di entrare in possesso della facoltà di porre rimedio a mali interiori, del cuore e dell’anima erratica –, dello sbigottimento, ossia della virtù di provare e far provare stupore e smarrimento di fronte all’opera dei martiri, degli apostoli e perfino, in casi del tutto eccezionali, degli eresiarchi; eccetera, eccetera), tanto che Leonardo si accorse che ella spesso rincasava tardi o si assentava in insolita ora.
Adesso sì, poteva meritarsi quello che la vita e il gabbo le avevano ingiustamente negato, pensava Firmina. Per questo non trascurò le letture dai libri di Mattutino (per lo più canti laudativi, preghiere contro la tentazione, parabole ai fini riparatori, orazioni alla Vergine, suppliche al Beatissimo per ottenere la benedizione), né dai libri di Vespro (ringraziamenti ai santi, salmi per propiziarsi i beati della notte, invocazioni contro il Maligno).
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(Da Rocco Futia, Leonardo Pasquonzo (rampollo, letetrato...), romanzo a episodi, Messina, Lippolis, 1998, pp. 95-101.